B.A.G.N.O.

Prima settimana - Team Caffè

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    Colazione a letto



    Da quando Luka e Carlos avevano avuto il piccolo Angél Matej, la loro vita era cambiata. Luca non si era ritirato dal giocare professionalmente per i G2, Carlos si occupava comunque di tutto ciò che aveva a che fare con l'organizzazione e contemporaneamente entrambi dedicavano la maggior parte del tempo al loro figlioletto. Le loro schedules non erano cambiate, anche se Luca i primi tempi, si era preso del tempo per sé e per la sua nuova famiglia.
    Angél Matej per fortuna era nato dopo la fine dei mondiali, quindi non era stato difficile per il Midlaner dare più attenzioni al piccolo, non avendo più partite fino alla fine di gennaio. Angél Matej era comunque sempre il suo pensiero principale anche se continuava ad allenarsi giorno per giorno. Non era propriamente facile essere un padre a tempo pieno, il compagno però aveva più tempo a disposizione per occuparsi di lui. Luka naturalmente non lo trascurava, l'aiuto di Carlos però era sicuramente molto importante.

    Luka quel giorno era particolarmente stanco: il piccolo Angél Matej non li aveva lasciati dormire molto quella notte, a causa di alcune coliche. A turno lui e Carlos erano andati a vedere come stava fino alla decisione di portarlo con loro nel lettone. La situazione a quel punto era un po' migliorata, ma il bimbo li aveva comunque svegliati ancora un paio di volte. La mattina alzarsi non era stato facile per Luka, ma Carlos, che si era già svegliato almeno due ore prima, si presentò da lui con un vassoio pieno di leccornie. Nonostante Luka fosse ancora mezzo addormentato, al suo naso arrivò subito il profumo del caffè appena fatto. Berlo di prima mattina era diventata ormai un'abitudine per il croato, il quale non iniziava mai la giornata senza una tazza di caffè amaro con un goccio di latte. Quella era però la prima volta in cui Carlos gli aveva portato la colazione a letto. Luka stranamente non aveva sentito nemmeno Angél Matej piangere e la cosa lo preoccupava un po'.

    "Dov'è Angél Matej?" Chiese mentre stropicciava gli occhi e osservava cosa Carlos gli aveva portato. Lo spagnolo ormai sapeva molto bene cosa gli piaceva e infatti assieme al caffè, vi erano anche dei croissants, dello joghurt bianco e della marmellata.
    "Non ti preoccupare querido, l'ho lasciato momentaneamente a Duffmann, così noi, ma tu soprattutto, possiamo avere del tempo per noi stessi." Era stato Luka a svegliarsi la maggior parte delle volte al pianto del figlio e insomma... se lo meritava.
    "Okay, grazie per avermi portato la colazione a letto. Lo apprezzo davvero molto in più hai preso le mie cose preferite." Non gli dispiaceva affatto poter dedicare del tempo a loro e a fare una buona colazione, gli era davvero grato.
    "É il minimo dopo la nottata che Angèl Matej ci ha fatto passare. Forse dovremmo portarlo dal pediatra, cosa ne dici?" Era il loro primo figlio, non era facile essere genitori e fare il loro lavoro, ma per fortuna non richiedeva molto. il tempo per Angèl Matej lo trovavano in ogni caso e se uno di loro non poteva stare con lui, lo faceva l'altro.
    "Mh..." La risposta fu solo un piccolo mugugno, dato che Luka aveva iniziato a bere il caffé, prima che diventasse freddo. "Credo in ogni caso che siano solo delle coliche, ma ci può sicuramente dare dei consigli." Riuscì finalmente a dire mentre riappoggiava la tazza sul vassoio. "Non ho allenamenti con gli altri oggi, solo individuali, quindi possiamo andare quando tu hai tempo."

    Grazie al caffé Luka già si sentiva meglio: gli era utile per iniziare bene la giornata, soprattutto se poteva goderselo proprio come in quel momento.
    Un caffé bevuto in compagnia era sempre la situazione giusta, piuttosto che essere soli e non poter parlare con nessuno. Il caffé risvegliava dal torpore dopo il sonno, era un vero toccasana.

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    Personaggi: Perkz, Ocelote
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    Generi: Slice of life, Fluff
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    Prompt: Il caffè del mattino

     
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    I miss you



    Ogni giorno svegliarsi era diventato diverso: i suoi compagni se ne erano andati, Deft se ne era andato... La notte, da quel fatidico giorno, era diventato molto difficile per Pyosik addormentarsi. Se ai Mondiali non aveva avuto la sensazione che la colpa della loro sconfitta fosse stata interamente sua, ora che la Gaming House era vuota, i sensi di colpa lo attanagliavano. Non aveva ben capito il motivo per cui gli altri se ne erano andati, Deft era stato il primo a dirglielo, dato che era il suo alpha.

    Era proprio per lui che soffriva così tanto, ma forse doveva andarsene a sua volta dai DRX e cercare di seguire il fidanzato...?

    La mattina alzarsi e raggiungere la cucina non era più la stessa cosa: prendere il caffé seduto a quel tavolo portava alla sua mente ricordi di tempi ormai passati. Le risate, le discussioni, i saluti...

    "Ehi, mi manchi. Mi siedo sempre al tuo posto preferito. Ci vedremo, vero?" Quella mattina aveva deciso di mandare una foto in allegato al solito buongiorno: Deft gli mancava troppo e in quel momento desiderava solamente averlo lì con sé.

    "Mi manchi anche tu, piccolo. Se vuoi vengo lì e passiamo del tempo assieme." Deft sorrise nel vedere quel messaggio: anche a lui mancava molto Pyosik da quando se ne era andato.

    "...! Sì, vieni qui, per favore."

    La giornata di Pyosik era ora migliorata, il caffé sembrava pure più buono e... Non poteva essere più felice di così.

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    Fandom: LOL RPF
    Personaggi: Pyosik, Deft
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    Generi: Slice of life, Triste
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    Prompt: Il caffè del mattino

     
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    Cambiamenti



    Il contratto era stato firmato appena due giorni prima, eppure Rekkles aveva già fatto il trasferimento nel quartier generale dei G2. Aveva dato l'addio agli ex compagni senza alcun rimorso: di sicuro gli dispiaceva lasciare alcuni di loro in quel modo, ma era più che certo che quella fosse per lui la scelta migliore che avesse potuto fare.

    Il suo obbiettivo era vincere, con i Fnatic non c'era riuscito, lo spostamento di Perkz ai Cloud9 era stato indispensabile per permettere una mossa simile, ma ora era lì che occupava la sua stanza e... si sentiva bene, felice, soddisfatto. Wunder, Jankos, Caps - il suo vecchio compagno di squadra fino all'anno prima - e MikyX lo avevano accolto molto bene. Dopo aver girato il video di benvenuto era entrato nella Gaming House e lo avevano accolto con della torta e del cappuccino fumante. La schiuma era adornata con del cacao che formava il logo dei G2, la sua nuova squadra da quel momento in avanti. Non gli importava cosa ne pensassero i fan: era della sua carriera che si parlava, non del piacere di persone che nemmeno conosceva. Nel caso lo avessero capito sarebbe stato bello, ma in caso contrario... pazienza, non sarebbe mai e poi mai tornato sui suoi passi, era certo, non in quella pre season per lo meno.

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    Fandom: LOL RPF
    Personaggi: Rekkles
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    Generi: Slice of life
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    Prompt: Il caffè del mattino

     
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    Il solito?



    "Buongiorno, il solito?"



    Zven era un cameriere in un noto bar del centro di Berlino, Mithy invece uno dei clienti abituali. Zven sapeva a memoria cosa prendesse Mithy ogni giorno: ginseng, una brioches al cioccolato e un succo alla pesca. Lo studente universitario si fermava lì due volte al giorno: alle nove del mattino, esattamente mezz'ora prima delle sue lezioni, e ad orari differenti nel pomeriggio, in base a quando finiva la giornata universitaria. Era lui principalmente a servirlo e lo studente un giorno gli aveva anche detto di chiamarsi Alfonso.

    Oramai si conoscevano abbastanza bene, ma quel giorno lo spagnolo sembrava davvero giù di morale, anche se Zven non capiva per quale motivo. Non voleva nemmeno che lo studente andasse a confessarglielo, ma era strano non vedere il suo solito sorriso sulle labbra.



    "Ciao, no, oggi preferisco avere un caffé americano forte." Lo spagnolo si sforzò di sorridergli, ma era così giù di morale che non gli riuscì molto.



    "Arriva subito. Ti è successo qualcosa? Non... non hai una buona cera. Se preferisci, appena stacco possiamo parlare." Di certo Zven non proponeva cose simili a tutti i clienti, ma magari sfogarsi avrebbe aiutato quel ragazzo.



    "Credo sia meglio per te se ne parliamo quando stacchi, non voglio che tu venga licenziato perché ti intrattieni troppo con i clienti. Quando finisci?" Un sorriso meno forzato si formò sul viso dello studente, mentre attendeva una risposta.



    "Tra un'ora. Torno subito!"



    Con quelle ultime parole Zven andò a preparargli l'ordine, che gli portò personalmente. Sotto alla tazza aveva lasciato anche un bigliettino.



    - Incontriamoci tra un'ora al parco qui vicino. Zven -



    Era disposto ad aiutarlo in qualsiasi modo fosse possibile, anche solo ascoltandolo e dandogli dei consigli. Quel cliente abituale, che prendeva sempre il ginseng, era diventato come un vero amico.

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    Personaggi: Mithy, Zven
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    Prompt: American

     
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    Sali da me




    A Mosca imperversava una vera e propria tempesta: aveva da poco iniziato a grandinare, oltre alla pioggia fitta e quell'ombrello che Lev aveva, ormai si era rotto. Dire che lui e Kirill si stavano inzuppando era dir poco, ma casa del maggiore non era più così distante.

    Kirill stava visibilmente tremando per il freddo, quindi il fidanzato decise di togliersi la giacca e la posò sulle sue spalle, sorridendogli.



    "Ma prenderai un malanno..." Fu la flebile risposta dell'omega.



    "Siamo quasi a casa mia, non mi succederà nulla. Tu invece hai bisogno di un caffè e un bagno bollente, appena siamo a casa mia."



    Accelerarono il passo e dopo qualche minuto furono finalmente al riparo nell'appartamento del più grande. Lev aiutò il suo omega a togliersi i vestiti, senza alcuna malizia, andando in camera per dargli qualcosa di suo: non voleva che si ammalasse, si sarebbe sentito in colpa, dato che era stato lui a insistere per uscire.

    Alla fine si sedettero al tavolo della cucina, entrambi cambiati e asciutti, due tazze di caffé con qualche goccia di latte, un po' di zucchero e, soprattutto, il riscaldamento acceso. Ora che erano lì e la tempesta imperversava fuori, non faceva più così freddo e se poi avessero fatto il bagno assieme non sarebbe stata una brutta idea.



    "Resta a dormire qui con me, non ha senso che cerchi di tornare a casa, non con questo tempo. Dormiamo assieme."


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    Fandom: LOL RPF
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    Generi: Slice of life
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    Prompt: Il caffè del mattino

     
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    Ora basta



    Restare svegli fino alle quattro del mattino non poteva essere mai una buona cosa se il giorno dopo era stata fissata una riunione di prima mattina. I pro player come lui erano assolutamente abituati a quei ritmi, ma un meeting alle nove di mattina era davvero una calugna, considerando anche il jet lag.



    - La prossima volta che Alfonso o Pete mettono un meeting a quest'ora... non so come reagirò. -



    Quello fu il pensiero di Tim mentre beveva quello che ormai doveva essere almeno il suo quinto caffè della mattinata. Nonostante ciò, i suoi occhi non volevano saperne di restare aperti e concentrarsi sulle parole che venivano dette non era facile.



    "Tim, quanti caffè hai bevuto?" Gli chiese Oskar - il loro jungler - notando le sue pessime condizioni.

    "... non ne sono sicuro, credo almeno cinque." Tim sapeva bene che berne troppi non faceva bene, ma era l'unica bevanda che riusciva a svegliarlo.

    "Direi che ne hai bevuti abbastanza. Sono già troppi."



    L'unica risposta che ricevette il polacco da parte del mid laner fu un cenno con il capo, accompagnato da un grugnito. Non dovevano preoccuparsi per lui, sarebbe sopravvissuto in un modo o nell'altro, volente o nolente.

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    Prompt: Il caffè del mattino

     
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    Incidente



    La fine di aprile si stava avvicinando, le giornate diventavano sempre più belle, gli alberi di ciliegio erano in fiore e per Atsumu c'era l'amore nell'aria. Ancora gli sembrava impossibile che fosse riuscito ad innamorarsi, eppure con Hinata si sentiva sempre così bene. L'unica pecca era la lontananza: le loro prefetture non erano di certe dietro l'angolo, serviva qualche ora di treno per raggiungere l'altro. Per Atsumu non era un grande problema: si sentivano anche su skype o per messaggio, però stare assieme, passare il tempo solo loro due era più bello.



    Quel pomeriggio Atsumu era diretto a scuola per gli allenamenti: c'erano vacanze, ma lui doveva allenarsi con la sua squadra di pallavolo. Osamu non era con lui, sarebbe andato a scuola assieme a Suna, da cui aveva già passato l'intera giornata fino a quel momento.



    Aveva il borsone appoggiato sulla spalla destra e camminava con cautela per le strade. Gli mancava ancora forse un isolato prima di raggiungere finalmente l'edificio scolastico, dove sicuramente gli altri già lo aspettavano.



    Atsumu difatti era in lieve ritardo, che avrebbe - ovviamente - dovuto spiegare al coach e al capitano, per poi dover sicuramente fare minimo cento giri di corsa.



    Sospirò al solo pensiero: non gli andava di fare tutti quei giri, ma Kita-san sapeva essere davvero molto severo, ti giudicava in silenzio per poi spiazzarti con parole ben mirate e calibrate che ti facevano pentire di ciò che avevi fatto.



    In quel giorno di primavera, Atsumu camminava tranquillo, si sentivano gli uccellini cantare, il profumo dei fiori appena sbocciati inebriava le sue narici. Quella tranquillità venne però spezzata nel giro di pochi secondi: al suo udito arrivò il rumore di un motore di una macchina decisamente su di giri e apparentemente senza controllo. Il tempo sembrava andare al rallentatore mentre si girava, solo per notare una macchina che puntava contro di lui e il conducente non faceva nulla per rallentare. Sgranò gli occhi e cercò di spostarsi il più velocemente possibile, il terrore nelle sue iridi, mentre quella macchina lo puntava inesorabilmente e il conducente sembrava aver preso un colpo di sonno, o essere troppo ubriaco per rendersi conto di ciò che stava per fare.



    Non aveva importanza quanto avesse cercato di spostarsi di lato: la macchina lo prese comunque in pieno, scaraventandolo a qualche metro di distanza. La macchina terminò la sua corsa contro il muretto dietro di lui, ma Atsumu poteva ritenersi fortunato di non essere rimasto schiacciato tra essa e il muretto, o chissà se ne sarebbe uscito vivo.



    Il rumore dello schianto del veicolo giunse ovattato alle sue orecchie, mentre Atsumu giaceva a terra, incapace di muoversi. Sentiva male dappertutto, il braccio destro, per il dolore che provava, doveva essere rotto, la testa gli pulsava come mai era successo prima di allora. Cercò di muovere le dita, ma non sembravano reagire, la visione iniziava ad offuscarsi e solo allora il panico si impossessò di lui. Non voleva dire addio al mondo in quel modo: non aveva salutato i genitori, Hinata, suo fratello... Sentiva voci terrorizzate che urlavano, ma non riusciva a capire cosa dicessero, era tutto dannatamente ovattato e la sua vista era completamente offuscata e il petto gli faceva male.



    Nella mano destra teneva ancora il cellulare che, miracolosamente era ancora intatto. Sentì in lontananza le sirene di quella che credeva essere un'ambulanza, mentre qualcuno si era inginocchiato vicino a lui. Ogni respiro faceva male, ma riuscì comunque a sussurrare un flebile. "Sunshine" Prima di abbandonarsi al nero che ormai si era completamente impossessato della sua vista. Aveva sussurrato quel nome perchè era stata la prima persona a cui aveva pensato, nel malaugurato caso dovesse morire.



    "Sunshine...? Ragazzino...!" Chiese un uomo, ma Atsumu aveva perso definitivamente i sensi e non fu in grado di rispondere.



    "Prova a vedere se corrisponde ad uno dei contatti sul cellulare del ragazzo. Magari voleva chiedere di avvertire quella persona."



    Rispose una voce femminile e l'uomo annuì, prendendo con estrema delicatezza il cellulare dalla sua mano, senza muoverla troppo. Non gli ci volle molto a trovarlo, per fortuna Atsumu non aveva un codice per sbloccarlo e l'uomo trovò subito quel... nickname probabilmente. Fece partire la chiamata mentre sua moglie spiegava ai sanitari cosa fosse successo e loro prestavano le prime cure ad Atsumu.



    "Mh, buon pomeriggio, parlo con... Sunshine?" L'uomo non era molto sicuro, però se era un nickname tant'era.



    "Atsu... Sì, sono io Sunshine, ma lei chi è?" Non era cosa da tutti i giorni che non fosse Atsumu a chiamarlo. Se Hinata prestava attenzione, quella era la voce di un uomo, non del suo fidanzato.



    "Ecco... il proprietario di questo telefono è stato investito da un auto fuori controllo poco fa e il ragazzo ha chiesto di chiamarla. I sanitari se ne stanno prendendo cura e molto presto verrà portato all'ospedale principale qui. Io sono semplicemente un passante che ha assistito alla scena." L'uomo non aveva nemmeno idea di quale rapporto avessero quei due, forse erano fratelli? Non gli importava, almeno era stato in grado di contattare quella persona per fortuna.



    "Aspetti... Cosa...?" A Hinata mancavano le parole: il suo cuore aveva perso alcuni battuti nel sentire quelle parole: spesso sentiva di incidenti stradali, ma non avrebbe mai immaginato che potesse succedere al suo volpino. "D-dove lo portano in ospedale? Non sono della vostra prefettura, però volevo fargli una sorpresa e quindi sono quasi lì."





    Shoyo era davvero agitato in quel momento: non riusciva a stare fermo, non vedeva l'ora che il treno si fermasse alla fermata a cui doveva scendere, così da poter raggiungere il prima possibile il fidanzato. Negli occhi iniziavano a formarsi delle lacrime: se lo stavano portando in ospedale era una faccenda seria e... se fosse morto?



    Scosse vigorosamente la testa, cercando di scacciare da essa quei brutti pensieri: doveva essere positivo, forte per Atsumu, non fasciarsi la testa prima di rompersela. Appena il treno si fermò nella sua stazione, Shoyo scese da esso, fiondandosi a cercare un taxi con cui raggiungere l'ospedale che l'uomo gli aveva detto. Non conosceva molto quella zona, quindi non voleva avventurarsi lì con il rischio di perdersi, l'unica cosa che voleva era raggiungere il fidanzato il prima possibile.





    Mentre i sanitari mettevano Atsumu sulla barella spinale e gli davano ossigeno, lui non era cosciente, non aveva nemmeno idea che lo avrebbero portato a fare vari esami e poi d'urgenza in sala operatoria per il trauma cranico che aveva subito in quell'incidente.



    Certo, aveva anche qualche costola rotta e un braccio rotto, ma il trauma cranico era la prima cosa di cui si sarebbero occupati, in quanto avrebbe potuto portarlo pure alla morte.



    Ci volle un'ora prima che potessero dichiarare l'intervento concluso, ma almeno il ragazzo era salvo. Gli infermieri lo portarono in una stanza e lo attaccarono a varie macchine, lasciandogli una mascherina dell'ossigeno che potesse aiutarlo a respirare.



    Shoyo intanto era arrivato all'ospedale e - in ansia - aspettava il suo turno.





    "Posso... sapere dove si trova Atsumu Miya?" Era trafelato, distrutto, aveva fatto un viaggio di tre ore per poi scoprire che il fidanzato era stato investito e tutto ciò che voleva era poterlo vedere.



    "L'hanno appena portato nel reparto di terapia intensiva, secondo piano...!" La segretaria non riuscì nemmeno a finire la frase, che il ragazzo della Karasuno era già schizzato via.



    "Atsumu Miya... per favore...!" Quando si rivolse alla segretaria della terapia intensiva aveva il fiatone, avendo corso su per le scale, ricevendo molti sguardi sconcertati da parte di pazienti o parenti in visita.



    "Lo hanno appena portato in una camera, ti consiglio di aspettare in sala d'attesa il medico che prima ti darà informazioni e poi ti porterà da lui."



    "Grazie...!" L'attesa per Hinata era insopportabile, ma il fatto che fosse stato portato in una camera già significava che non era morto, ma l'agitazione non smetteva di impossessarsi di lui.



    "Salve, sono uno dei dottori che ha operato Atsumu Miya. È arrivato qui in condizioni gravi in seguito all'essere stato investito. Ha riportato un trauma cranico, qualche costola rotta e un braccio anche rotto. L'operazione in ogni caso è andata bene. Non si é ancora ripreso, ma lo può vedere, se vuole."

    Il dottore aveva cercato di essere il più chiaro possibile e di non usare paroloni che quel ragazzo non avrebbe capito. Avendo risposta positiva gli fece strada verso il reparto di terapia intensiva, dove lo avevano portato.



    "Sarà attaccato ad un respiratore ed avrà molti fili attaccati al corpo. Non c'è però da preoccuparsi: sono solo prevenzioni e grazie ad esse potremo intervenire tempestivamente per qualsiasi problema." Tornò in silenzio finchè non arrivarono alla stanza del ragazzo. Il dottore abbassò lo sguardo su Hinata, posando una mano sulla maniglia.



    "Potrebbe avere un po' di amnesia, ma non saprei dire di che tipo."



    Era presto per dirlo, lo avrebbero scoperto appena il biondo si sarebbe risvegliato. Aprì la porta e fece entrare Shoyo, lasciandolo infine da solo con Atsumu ancora incosciente disteso sul letto e attaccato a vari macchinari. Sedersi sulla sedia vicino al letto e osservarlo in quelle condizioni faceva davvero male: voleva solo il meglio per il fidanzato, voleva assolutamente che si riprendesse, non lo poteva lasciare così.

    L'attesa era snervante, ma Hinata non lasciava mai il suo fianco. Gli accarezzava delicatamente la mano sana, sperando in un qualsiasi movimento, anche minimo, ma ciò non succedeva.



    "Atsumu-san... Ti prego, risvegliati. Sono e... Sarò sempre vicino a te. Torna da me e dalla tua famiglia. Tutti noi abbiamo bisogno di te. Quindi... Non ci abbandonare."



    Stanco come era, sia per il viaggio, sia per la notizia devastante, Shoyo finì col chiudere gli occhi, una mano stretta nella sua, come a non volerlo lasciar più andare. Ci vollero delle ore prima che Atsumu iniziasse a riprendersi: riaprì a fatica gli occhi, ma almeno vi riuscì. La prima cosa che si ricordò fu il fatto che era in ritardo per gli allenamenti.



    "Dannazione... Non voglio fare tutti quei giri."



    Si sentiva costretto contro il materasso, una mano stretta nella propria, la testa gli faceva male e vedeva una maschera per l'ossigeno, che gli copriva naso e bocca. Ogni respiro era come se mille coltelli fossero stati conficcati nel suo petto. Non capiva perchè fosse disteso su un letto, ma ciò non gli impedì di cercare di mettersi seduto. Fu una scelta totalmente sbagliata perchè subito iniziò a girargli la testa e ricadde contro il materasso, mugolando per il dolore.



    Solo guardandosi attorno in quel momento notò tutti i macchinari a cui era attaccato e una figura, seduta su una sedia accanto al letto.



    "Sunshine...?"



    Non ci stava capendo nulla: non aveva ricordi dell'incidente, quindi non capiva cosa ci facesse in ospedale. Ma soprattutto... come poteva essere lì Hinata? Era davvero confuso, doveva ammetterlo.

    Shoyo, risvegliatosi nel sentire movimenti sul letto, si alzò e cercò di fermarlo, facendolo riappoggiava piano sul materasso. Ai suoi occhi si formarono delle lacrime di gioia: si era ripreso e ricordava il nickname che gli aveva dato...!



    "Hai... Hai avuto un incidente, ti hanno investito. Non puoi andare agli allenamenti, volpino. Io volevo venire qui per farti una sorpresa, ma mentre ero in treno mi ha chiamato qualcuno e detto che eri stato investito... Ho avuto così tanta paura di perderti...!" Il corvetto rischiava un crollo mentale, ma era felice di vederlo sveglio, la paura di perderlo era stata sempre alta fino a quel momento.



    "Sunshine... sto bene, sono vivo, no?"



    Cercò di sorridere: gli dispiaceva un sacco vedere Hinata in quelle condizioni. Sembrava davvero distrutto. Alzò la mano sana per poterlo accarezzare e cercare di calmarlo con il suo tocco.

    Incidente...? Non ricordava nulla. L'ultima cosa che gli veniva alla mente era il suo essere in ritardo per gli allenamenti, ma nulla di più. Sembrava che con il trauma cranico avesse dimenticato completamente l'incidente. Forse dopotutto era un bene. Ora capiva perchè avesse così male dappertutto, anche alla testa.



    "Scusami... ti ho rovinato la sorpresa... e la giornata."



    Parlava piano e a fatica, ma almeno riusciva a farlo, anche se non sapeva quanto si capisse. Aveva però paura. Se era attaccato a tutti quei macchinari come erano le sue condizioni?

    Nonostante il racconto del fidanzato, Atsumu non riusciva a ricordare nessun dettaglio. Forse meglio così, non ci teneva particolarmente a ricordare tutto ciò che era successo. L'amnesia in quel caso era una buona cosa, almeno non avrebbe ripensato a quei momenti in cui si era visto sicuramente la morte in faccia. Invece per fortuna era lì, disteso su quel letto, attaccato a vari macchinari, ma si era ripreso e per ora sembrava stare bene. Certo, gli faceva un po' male la testa e all'altezza del petto, però poteva davvero considerarsi fortunato ad essere vivo.



    "Stupido, non dire assolutamente così! Sei vivo, non ha alcuna importanza se mi hai rovinato la sorpresa!"

    Shoyo iniziò anche a singhiozzare e Atsumu, nel sentire i singhiozzi del fidanzato, voleva solamente consolarlo, ma non sapeva bene come fare: poteva solo continuare ad accarezzargli la guancia. Lo sapeva che il suo tocco lo calmava abbastanza e sperava che potesse funzionare anche in quel caso.



    "Non ho idea di come sia successo, di quante ore fa sia accaduto, la mia mente sembra aver rimosso tutto ciò che riguarda quei pochi attimi... Però sono ancora vivo, non so a chi lo devo, ma per fortuna sono ancora qua."



    Gli dispiaceva non ricordare di aver detto il suo nicknane, ma era felice di averlo fatto e che l'uomo che aveva sentito si era premurato di avvertirlo. Per fortuna non aveva un codice di sblocco al cellulare, quello lo ricordava benissimo. Iniziando a dargli un po fastidio il braccio ingessato, lo alzò con cautela, sperando di alleviare quella sensazione. Non si era mai rotto nulla fino ad allora, quindi appena i dottori sarebbero andati a controllare le sue condizioni, avrebbe dovuto chiedere cosa fare.



    "Dovrei avvertire qualcuno della tua famiglia, come posso contattarli?"



    Shoyo doveva farsi forza e chiamare la madre del ragazzo, non poteva lasciarla all'oscuro di tutto.

    Avvertire qualcuno... già. I suoi genitori prima di tutto. Sicuramente non sapevano nulla, altrimenti si sarebbero precipitati lì. Non voleva farli preoccupare, ma la vedeva come una cosa inevitabile, altrimenti avrebbero iniziato a preoccuparsi quando Osamu sarebbe tornato a casa da solo e lui non ci sarebbe stato.



    "Il mio cellulare..." Atsumu Si sentiva ancora stordito e stanco, le costole rotte gli impedivano di parlare come avrebbe voluto, dato il male. "Cerca mamma."



    Più di quello non riusciva a dire, ma il più piccolo sapeva cosa doveva fare. Cercò di rilassarsi mentre Shoyo prendeva il cellulare e usciva dalla stanza per informare sua madre.



    "Signora Miya...?" Chiese con tono un po' incerto, appena una voce femminile rispose all'altro capo del telefono.

    "Sì, sono io. Con chi parlo?" La donna era ancora totalmente ignara di ciò che era successo, quindi era tranquilla.

    "Sono un amico di Atsumu... É... É stato investito mentre andava agli allenamenti e ora é in ospedale. Sta bene però, si é ripreso!" Shoyo cercò di indorare un po' la pillola, con scarsi risultati evidentemente.

    "Cosa... O mamma mia, arrivo il più in fretta possibile! Gli preparo un borsone per la degenza e arrivo. Cos'ha riportato...?" Ecco che la donna si faceva prendere dal panico: come poteva essere successo a suo figlio?

    "Ha un braccio rotto e gli fa male la testa, per il resto il dottore non mi ha detto niente, dato che non sono un parente. Però... Hanno dovuto operarlo d'urgenza ed é attaccato a vari macchinari."



    Sospirò Shoyo appena chiuse la chiamata: non era così che voleva conoscere la donna, ma era inevitabile, no?


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    Fandom: Haikyuu
    Personaggi: Atsumu Miya, Shoyo Hinata
    Warning: Angst
    Generi: Slice of life
    Wordcount: 2600
    Prompt: Agitazione

     
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